La forza d’animo

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Oggi si chiama resilienza, una volta era forza d’animo. Platone l’ha nominata thymoeidès e affermava che avesse sede nel cuore. Il cuore è l’espressione metaforica del sentimento che non è malinconia, struggimento dell’anima, non è sconsolato abbandono ma è forza. Quella forza che muove ogni decisione quando, dopo aver analizzato tutti i pro ed i contro, si decide,  perché in una scelta piuttosto che in un’altra ci si sente a casa. Guai ad imboccare per convenienza o per debolezza una scelta che non è nostra, guai ad essere stranieri nella propria vita. Questa è la salute. Il bisogno di essere accettati e amati ci fa percorrere strade non nostre e alla fine l’anima si ammala  perché la malattia è una metafora, la metafora della devianza dalla nostra vita. Bisogna educare i ragazzi ad essere se stessi e per farlo occorre aiutarli ad accettare anche la loro ombra, ciò che rifiutano di loro, ciò di cui si vergognano (estratto Dall’Ospite Inquietante di Galimberti). Il sentimento viene visto non più come segno di fragilità bensì di forza, è azione, scelta, problem solving.  E’ sentire quello che provo in un dato momento, qual è il mio bisogno e come posso soddisfarlo. Nell’approccio Gestaltico vuol dire uscire dal vuoto fertile e contattare me stesso per soddisfare qualunque desiderio. Perls e la Gestalt richiedono quel coraggio e quella forza di cui Galimberti parla. E’ un invito alla responsabilizzazione della propria felicità. Un benessere che non è dietro l’angolo ma dentro di noi. Guai ad indossare abiti non nostri per convenienza, per incapacità di dire di no e deludere le aspettative altrui. Significherebbe sopravvivere in abiti così stretti da toglierci il fiato. A che pro?  Ricorderò sempre le parole di un carissimo compagno di banco e amico quando al liceo, sul punto di scegliere l’Università mi disse: “Dany, pensaci bene perché la scelta che farai è per sempre”. Il mio passato è oggi quel limite che diventa punto di forza e competenza per un ascolto attento dei ragazzi a scuola al fine di renderli consapevoli che una scelta rispondente ai loro desideri, anche se non aprisse alcuna porta professionale, può rafforzare la loro autostima e dare il coraggio di crearsi da soli.   Crearsi da soli richiede il coraggio di lasciare lidi sicuri per nuove storie anche cadendo. Thomas Alva Edison accese la sua lampadina dopo innumerevoli tentativi falliti ed è famosa la battuta con cui era solito commentare un insuccesso: “Be’, ho scoperto un altro modo per non inventare la lampadina.” Educare i ragazzi ad essere se stessi con l’ascolto attento per capire cosa sta facendo mia/o figlia/o, cosa desidera lui, come si sente, come posso aiutarlo io genitore e per comprendere come io fossi lui consapevole di non esserlo. Ascoltare è scegliere di dedicare tempo ai propri figli per seguirli nella loro crescita senza giudicarli, sostenerli e trovare nostre soluzioni per loro. Mi colpisce durante i colloqui ascoltare ragazzi pieni di rabbia perché non si sentono accolti, compresi e ascoltati che vorrebbero avere calore e affetto mentre ricevono più del necessario in beni materiali. Hanno magari l’ultimo iphone e lamentano il non essere stati mai ascoltati, riconosciuti nel loro impegno scolastico e amati per quello che sono. Ascoltare porta alla conoscenza del mondo del ragazzo che sarà sicuro mille anni luce distante da noi ma questo non deve frenare il nostro interesse sano: “cosa combina?” Ogni dettaglio dall’abbigliamento, allo sport, alle passioni e al tipo di studi caratterizza il ragazzo oggi e orienta la persona di domani.  Ascoltare e comunicare significa essere in relazione sana con i ragazzi che possono crescere sulle loro gambe e cambiare, affrontare le sfide, dotandosi di coraggio e forza d’animo. Come nella relazione di counseling così anche nel rapporto con i figli ci sono gli obblighi dei genitori di ascoltare attentamente e quelli dei figli di scegliere ogni giorno, analizzando i pro e i contro come suggerisce Galimberti. Questo necessita un autoascolto per capire cosa voglio io e cosa vuole il contesto in cui vivo: genitori e amici. Tutto ciò è complicato soprattutto oggi che viviamo perennemente connessi a Facebook, Whatsapp, Skype, Twitter e chi più ne ha, ne metta. Il rischio è la confluenza ossia non percepire più il mio bisogno bensì quello del gruppo e, per paura di essere escluso, continuare ad omologarsi e vivere un’esistenza mediocre e malata. Siamo ok sia che ci piacciono le idee e i progetti del gruppo Whatsapp a cui apparteniamo, sia che vogliamo fare altro. Vale sempre la preghiera della Gestalt di Perls che per me è un toccasana al bisogno e ripropongo per chi avesse cominciato ora a leggermi per la prima volta anche per mettere alla prova la mia memoria.

“Io sono io, tu sei tu. Io non sono al mondo per soddosfare le tue aspettative. Tu non stai al mondo per soddisfare le mie aspettative. Io faccio la mia cosa, tu la tua. Se ci incontreremo sarà bellissimo, altrimenti non ci sarà stato niente da fare.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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